Nascita di un “Centro di Studi”
di Beniamino Deidda
Il fatto che molti amici di Marcello si riuniscano ancora in suo nome dopo che sono trascorsi anni dalla sua morte, merita una riflessione. I nostri incontri hanno come motivo occasionale questo o quel convegno o dibattito o impegno pubblico. Ma non solo questo. Certo, c’è l’affetto che ancora tutti sentiamo per lui, ma credo che ci muova anche un’altra convinzione: che ciòè Marcello, con il trascorrere del tempo, continui a parlarci. Capita sempre quando le persone scomparse lasciano segni importanti per la vita degli altri. Di tutti noi, quando non ci saremo più, rimarranno i gesti, non le parole. Talvolta anche le parole, ma solo quando diventano gesti, quando cioè sono più importanti del silenzio. Il che, francamente, non capita spesso.
Vogliamo approfittare di questo scritto per fare una premessa e una proposta strettamente collegate.
Marcello durante il suo lavoro a Bagno a Ripoli non ha perso tempo a parlare o a scrivere: ha lasciato gesti, cioè iniziative, progetti e un modo di essere e di fare che descrive lo stile di una persona. Sono appunto le cose che ora ci fanno riflettere. Lo abbiamo visto al convegno che si è tenuto nel novembre 2018, i cui atti sono stati proprio in questi giorni pubblicati in un bel libro: quanti spunti, quante riflessioni, quante analisi dell’opera di Marcello. Nel convegno si sono intrecciati i ricordi, anche commossi, della sua umanità e insieme le riflessioni sui semi che le sue intuizioni hanno gettato durante i quasi 30 anni di direzione della scuola a Bagno a Ripoli. La presenza al convegno dell’Università e l’obiettivo spessore di qualche contributo hanno fatto sì che i materiali del convegno abbiano una straordinaria utilità per chi voglia continuare a riflettere. Siamo convinti che dalla lettura degli atti emergeranno tutti gli obiettivi verso i quali si è mossa l’azione di Marcello durante la sua vita.
Si tratta di una vita piena di cose, alcune delle quali sono state da lui ricordate durante la cerimonia di conferimento della cittadinanza onoraria: la giovinezza con una inevitabile educazione fascista, la lezione di qualche maestro antifascista e poi la Resistenza, gli incontri che hanno segnato la sua formazione, con Guido Calogero, Lamberto Borghi, Pippo Codignola e tanti altri; la militanza nel partito d’azione; poi ancora l’insegnamento nelle scuole e infine la direzione didattica. Una vita ricca di insegnamenti sui quali Marcello ha costruito il suo personalissimo progetto che ha interessato vari aspetti della vita civile e della vita scolastica. Direi che ci sono alcuni punti fondamentali dell’azione di Marcello e del messaggio che ci ha lasciato che vanno ricordati.
Il primo riguarda la sua scelta irreversibile per l’antifascismo e la democrazia. Marcello, ancor prima che gli studi storici e la riflessione sulla Resistenza e sul fascismo rendessero chiara la necessità del rifiuto di ogni barbarie e di ogni violenza, aveva maturato nella sua coscienza la consapevolezza del mai più, di quei due avverbi sui quali oggi è attestata la più matura cultura antifascista: mai più arbitrio, mai più violenza sui più deboli, mai più censure o prepotenze e costante confronto con chi non la pensa come noi. Sono state queste le linee invalicabili della scuola di Marcello: discussione dei diversi punti di vista, rispetto per qualsiasi interlocutore, libertà e autonomia per ogni insegnante e impegno per lo sviluppo della personalità di ogni bambino.
Il secondo punto è stato la visione lucidamente laica della società, della scuola e dell’insegnamento. Marcello ha sempre pensato che lo sviluppo e la crescita, la formazione degli uomini e dei cittadini avvenisse attraverso il confronto delle idee, senza imposizioni di fede o ipoteche ideologiche. Aveva collocato ogni fede e ogni credo nella sfera della libertà della persona e della coscienza individuale e non consentiva che si potesse imporre a chiunque di credere o di non credere. E soprattutto escludeva che ai bambini si potesse imporre qualsiasi verità, che fosse rivelata o meno. La sua scuola non ha vissuto di direttive, fossero quelle del Papa o di qualsiasi istituzione civile o religiosa. E, per quanto lo riguardava, non si faceva condizionare neppure dalle circolari ministeriali.
Il terzo punto, per noi fondamentale, è stato la continua ricerca dell’innovazione didattica. Marcello non ha mai inseguito il cambiamento fine a se stesso. Ha fatto vivere le due intuizioni pedagogiche più fertili del Novecento, quelle di Dewey e di Freinet, in una straordinaria sintesi di forma e sostanza in cui il canto, la danza, i gesti, le parole, l’ambiente circostante e la disposizione degli spazi, diventavano un messaggio e uno straordinario veicolo di formazione degli alunni e degli insegnanti.
La quarta linea portante dell’eredità di Marcello è stata la definizione precisa della natura e dell’azione delle istituzioni, di tutte le istituzioni, da quelle scolastiche a quelle civili. Marcello ha sempre concepito l’opera delle istituzioni pubbliche come un servizio da rendere ai cittadini e non come una sinecura degli amministratori della cosa pubblica. L’utilità delle istituzioni è stata sempre misurata con la capacità di rendere un servizio efficace alla comunità. La dignità delle istituzioni scolastiche è stata perseguita con la capacità di accoglimento di tutti, compresi i più svantaggiati o addirittura privi di ogni mezzo.
Attraverso questa capacità della sua scuola di accogliere tutti, Marcello ha realizzato anche un altro principio cardine della democrazia: l’eguaglianza tra i cittadini, nessuno escluso. Per questo ha sempre voluto che la scuola fosse pubblica, perché solo da essa si poteva ottenere la pari dignità sociale di tutti i cittadini.
Questo patrimonio ideale costruito in tre decenni di direzione scolastica, ha preso corpo in mille iniziative, progetti, proposte, corsi, stages, ecc. Ciascuno di quei momenti può essere studiato, interpretato e ammodernato nel segno delle quattro linee di fondo che hanno guidato l’azione di Marcello. Ma per farlo, occorre cercare, studiare, riflettere e organizzarsi.
Un territorio come il nostro, che ha avuto la fortuna, ma anche la capacità, di vivere una realtà così ricca, ha l’obbligo, che prima di tutto è un dovere di solidarietà civile, di non disperdere una lezione così alta.
La lezione di Marcello, come si capisce subito, non ha lasciato il segno solo sulle istituzioni scolastiche. Ha suscitato anche fermenti di straordinaria partecipazione sociale su molti temi della vita della cittadinanza: la partecipazione dei genitori alla vita della scuola, dei cittadini alla vita politica, degli insegnanti ai momenti di ricerca e formazione collettiva, dei ragazzi e dei giovani ai momenti della vita in comune.
Molti di quelli che ancora si riuniscono nel nome di Marcello hanno avuto la ventura di partecipare da molto tempo a varie vicende che ci hanno tenuti insieme. Abbiamo avuto in sorte la fortuna di poterci riconoscere nella cultura libera, democratica e civile che caratterizzava Marcello. Tutti noi abbiamo più o meno sempre conservato lo spirito critico, non abbiamo aderito alle ideologie o alle mode del momento e, come diceva Marcello, non abbiamo mai ‘cantato in coro’. Abbiamo partecipato alla vita politica della nostra città, ci siamo battuti per le nostre idee, ci siamo impegnati nel nostro piccolo nella gestione della vita pubblica, ma non siamo mai stati faziosi. Ci ha animato più la passione civile che lo spirito di parte.
Questa apertura, che ha segnato la storia di ciascuno di noi, rende possibile il lancio di una proposta che è lo sbocco naturale di quanto detto fin qui. La proposta è quella di non disperdere il grande patrimonio civile e morale che Marcello ci lascia. Uso con qualche esitazione l’aggettivo morale, perché ricordo bene le parole di Marcello quando diceva con una punta di ironica civetteria: “io non m’intendo di morale”. Ma sono sicuro di poter dire che Marcello ci ha trasmesso una grande lezione di etica civile e sociale.
Per far fruttare l’eredità di Marcello occorre un impegno adeguato della cittadinanza e delle forze più vive di Bagno a Ripoli e di altri cittadini di ogni dove. E crediamo che lo strumento più idoneo per lo studio, per la ricerca e l’approfondimento della lezione di Marcello sia la creazione di un Centro di Studi da intitolare a Marcello Trentanove, che veda i contributi delle migliori energie di cui il territorio dispone. E non solo, naturalmente, il territorio del nostro Comune.
L’attività del Centro (la cui forma giuridica è stata nei giorni scorsi definita) dovrebbe essere la più libera possibile, come si conviene alle associazioni di ricerca e di elaborazione culturale, senza condizionamenti di natura politica od economica da parte di chicchessia. Una istituzione, cioè, capace di vivere con l’apporto di tutte le persone di buona volontà e di qualsiasi appartenenza, animate solo dall’interesse per la cultura, per l’educazione e per la convivenza civile nel nome della Costituzione.
Non so ci illudiamo, ma crediamo di poter dire che la nostra proposta non sarebbe dispiaciuta a Marcello. Per una ragione molto precisa: perché era convinto che solo dalla pratica del fare può nascere il progresso autentico degli uomini.